Una chiacchierata con Marco Regi
Il Cabaret, l’avanspettacolo,,,,la macchietta napoletana, ovvero quelle forme d’arte che a partire dal primo ‘900 fino ai giorni d’oggi hanno rappresentato un momento di divertimento e spensieratezza raccogliendo diverse forme di intrattenimento.
Tanti numeri (recitare, ballare, parafrasi e macchiette, etc.) uniti attraverso un unico filo conduttore che partendo da Petrolini, Totò, Fabrizi, Nino Taranto, fino ad arrivare ai giorni nostri con Gigi Proietti hanno fatto ridere e sorridere.
Luoghi quali il Teatro Jovinelli, la Sala Umberto (solo per citarne due nell’ambito del contesto romano) sono diventati nel tempo iconici e di riferimento a tutte quelle altre iniziative (come ad esempio il Seven Show televisivo) che hanno voluto ripercorrere, e a volte rinverdire, quest’arte.
Un’arte spesso denigrata e bistratta perché considerata di ordine inferiore rispetto ad altre più elitarie e di maggiore profondità introspettivo culturale. Così certamente non è, sia perché comunque regalare sorrisi e divertimenti è arte nobile e unica, e sia perché ballare, cantare, recitare, declamare in forma comica richiedono preparazione e impegno non indifferenti.
Storicamente parlando il primo carabet (secondo l’accezione ‘’moderna’’ del termine che fa riferimento anche alle varie altre forme di intrattenimento simili da cui deriva), fu quello che ormai è diventato l’ormai mitico/iconico Le Chat noir (“Il gatto nero”). Locale parigino, sito nel quartiere bohémien di Montmartre, inizio le sue attività nel lontano 1881 grazie alla geniale visione dell’agente teatrale e imprenditore Rodolphe Salis. Il primo nome fu ‘’Le cabaret artistique de Rodolphe Salis’’ e poi successivamente prese l’iconico nome con cui oggi è ricordato in tutto il mondo.
In Italia il cabaret ha avuto ampia diffusione.
La macchietta è un’arte tipica del centro sud (in particolar modo trova la sua massima espressione in quella napoletana), ma possiede un linguaggio universale che, usando un termine caro ai giovani d’oggi, ‘’sfonda’’ in ogni teatro e in ogni piazza italiana e non solo.
Il comico deve ‘’sentire’’ il suo pubblico, la sua indole e soprattutto annullare la famosa ‘’quarta parete’’, ovvero quel muro immaginario che lo divide dal pubblico, andandolo a ‘’catturare’’ e nel coinvolgerlo nell’ilarità in forma spensierata. Dramma, pianto e tristezza richiedono certamente meno impegno rispetto al far sorridere e creare un senso di leggerezza ed empatia comica.
Il doppio senso e argomenti ‘’leggeri’’ sono oggetto dei numeri del cabaret, ma va evidenziato come ciò avvenga sempre in una forma e in un modo mai volgare e mai palesemente offensivo, bensì prendendoli come spunto per un momento collettivo di ilarità dove niente e nessuno è oggetto di discriminazione e sopraffazione psicologica, ma al contrario e è elemento per sfatare e sorridere sulle nostre debolezze e anche gli eventi ed episodi spesso caratterizzanti la quotidianità di tutti.
Abbiano detto che tante forme d’arte caratterizzazione questa forma di spettacolo e ad ognuna di esse si associa un tipo specifico di artista..il comico..il ballerino,,,il caratterista etc. Ma va da sé che grandi artisti (quali quelli sopra già citati) hanno saputo ‘’unificare’’ attorno alla loro figura di one man show tutti i numeri dell’avanspettacolo creando esperienze artistiche quali l’indimenticabile ‘’a me gli occhi please’’ dell’insuperabile e indimenticabile Proietti.
Oggi sulla scia di quanto detto, ma in realtà con un passato consolidato di ormai trent’anni di carriera e di successi teatrali di tutta Italia, Antonello Costa (già volto nota della TV sin dai tempi del Seven Show) rappresenta quel talento naturale che riprende quell’importante eredità del cabaret. Con una preparazione che nasce dallo studio dei grandi del passato sia lontano che recente, grazie ad un carattere poliedrico Costa nei suoi spettacoli presenta tutti i numeri tipici. Balla, canta, recita, propone macchiette del passato e ne elabora di nuove in un’ottica di non semplice replica di cio che è stato, ma personalizzando, modernizzando e proiettando verso il domani i suoi personaggi. Se possiamo trovarlo in ghette e pajetta, dopo pochi minuti lo ritroviamo sul palco con personaggi della nostra società (il rapper, il nostalgico del anni ’70, il depresso e tanto altro ancora), magari dopo aver ballato e recitato/interpretato simulatamente Totò e Michael Jackson andandone addirittura a invertire ruoli e numeri. Una naturale indole istrionica che fa sembrare tutto terribilmente facile e senza sforzi. Come pesso ci accade di vedere con i grandi sportivi con i grandi pianisti ad esempio, dove sembra non esserci sforzo e difficoltà. Nulla di più falso, in quanto solo una profonda e attenta preparazione dei numeri e dei personaggi e un ‘’allenamento’’ costante e senza sosta consentono di raggiungere le alte vette del perfezionismo qualsiasi sia il settore.
Costa, in ogni spettacolo, è in grado di trascinare e coinvolgere (anche in una iterazione diretta) tutto il suo pubblico in due ore di puro divertimento grazie al suo ‘’one man show’’ che ha saputo costruire nel corso degli anni.
Sotto trovate una mia intervista ad Antonello Costa che si racconta e ci racconta la storia del cabaret, dell’avanspettacolo e della macchietta, non solo attraverso un dialogo incalzante, ma soprattutto attraverso l’inserimento all’interno dell’intervista stessa di alcuni dei suoi numeri più esilaranti e artisticamente notevoli.
prima parte:
seconda parte:
È possibile consultare il calendario dei suoi Spettacoli in programmazione sul sito www.antonellocosta.it, e eseguilo sui social e sul suo canale youtube.
Un artista unico, poliedrico e soprattutto con quella generosità unica dei grandi di regalare momenti di serenità e puro divertimento.