Il tuscolano di Marco Tullio Cicerone

 di Luigi Devoti

Il Tuscolano, oggi compreso nei limiti territoriali dei Comuni di Grottaferrata, Frascati e Monte Porzio Catone, viene detto di Marco Tullio Cicerone, perché nel suo comprensorio l’arpinate aveva quella villa di cui andava orgoglioso e dove amava trascorrere lunghi periodi.
Sulla localizzazione nel territorio di questa villa sono state avanzate molte ipotesi tutte, in vero attendibili, ma di cui per nessuna è stata trovata una documentazione che potesse definire la questione.
Una prima ipotesi è quella che ha voluto la villa collocata nell’ambito dell’attuale Abbazia di Santa Maria di Grottaferrata, ipotesi che ha anche situato la tomba della figlia di Cicerone, Tulliola, nella cripta ferrata, dove il mistero circa la sua origine aleggia ancora nell’indefinito.
Una seconda ipotesi è quella della collocazione della Villa nel comprensorio dell’attuale Villa Tuscolana, già Rufinella.
Una terza ipotesi, forse la più attendibile, ha posto la villa sul Colle delle Ginestre, dove fino a non molti anni or sono potevano essere visti i ruderi di una grandiosa costruzione.
Tutte e tre le ipotesi comunque portano a loro sostegno quanto dice lo stesso Cicerone a proposito del rifornimento idrico della sua Villa e cioè che veniva servita dall’acqua Crabra.
E’ noto che quest’acqua scendeva per il mezzo di un acquedotto dalle alture dell’attuale  Rocca Priora e transitava in prossimità della via Latina , oggi Tuscolana, per cui le diramazioni potevano raggiungere comodamente una delle  località indicate dalle tre ipotesi.
Il Tuscolano  è stato anche detto di Marco Tullio Cicerone, perché l’arpinate  durante il soggiorno nella sua delizia  ha scritto le Tusculane disputationes in cui tratta delle conversazioni filosofiche tenute con gli amici nella zona del parco detta Accademia.
Nel territorio  Tuscolano si può arrivare da vie diverse situate su tutti e  quattro i punti cardinali.
E la scelta dell’ingresso da Grottaferrata può essere motivata dal fatto che, pur essendo la costituzione del comune di data  recente, molto antico in vero è il borgo compreso nella cinta dell’Abbazia di Santa Maria, fondata nel 1004 da Nilo di Rossano, profugo dalla sua terra invasa dalle orde saracene. Gli edifici dell’Abbazia sorgono dove erano le costruzioni di una villa romana datata al I secolo a.C. e dove prima di questa vi era l’insediamento di una popolazione verosimilmente autoctona, di cui sono state trovate le sepolture.
Della villa romana tuttora è presente una parte di uno splendido criptoportico che nelle serate d’autunno al tramonto del sole le  pareti si colorano di un colore rosso porpora.
Il primo impatto in questo territorio si ha con la Marrana Mariana o di San Giovanni, che tuttora scorre anche se non più con la baldanza delle sue acque spumeggianti del tempo passato.
La marrana si forma dopo la rottura, in prossimità della parte iniziale, degli acquedotti delle acque Crabra e Giulia verosimilmente perché non più utilizzati e pertanto privi di manutenzione. La prima denominazione si trova nelle bolle papali del 955 e del 962 in cui il rivo è detto Rivus Papati. Mentre il nome di Rivo dell’Acqua Mariana appare soltanto nel secolo XVI, probabilmente derivato da Ager Marianus ovvero dal nome del territorio di Marino che attraversa, mentre la denominazione di Marrana di San Giovanni è dovuta alla pertinenza originaria al Capitolo Lateranense.
La Marrana Mariana nasce nel bacino della Molara con il contributo delle acque Crabra e Giulia che però nel secolo XVII viene ridotto perché l’acqua Crabra è utilizzata per rifornire i territori di Monte Porzio, la Villa Belvedere Aldobrandini di Frascati e le ville Borghesiane. Nel secolo XVIII, tuttavia, nella Marrana Mariana vengono convogliate le acque della Preziosa, antica Tepula, e le acque dei rivi di Maranella e di Pantanella
La sua bellezza tuttavia è tutt’ora presente anche se alterata dalla noncuranza dell’uomo, di cui si è servito nel passato, per sedare la sua sete e per rinfrescare le sue membra dopo il duro lavoro nei campi e per irrigare le sue terre coltivate.
Sulle sue sponde l’erba è sempre verde e le fioriture spontanee colorano di rosso, di giallo, di azzurro i cretacei sassi, resti di antiche murature.
Nelle sue vicinanze nel mese di ottobre si ode ancora il secco scatto delle forbici delle vendemmiatrici unito ai loro canti e dell’agricoltore nel mese di novembre intento alle potature delle viti.
La Marrana per secoli ha dato al paesaggio un aspetto variato e piacevole con le sue sponde verdeggianti rivestite di frondosi salici e di canne frementi al vento insieme alle erbe palustri.
Le sue acque, poi , sono state il motore, azionando le ruote di numerosi molini, delle ferriere e della cartiera nel territorio criptense e di numerosi molini in Roma di cui rimangono le strutture murarie soltanto di due esemplari nel comprensorio dei vivai del Comune di Roma nei pressi della Passeggiata Archeologica.
Inoltre le sue acque hanno dato l’idea, durante il pontificato di Clemente X, all’ingegner olandese Cornelio Meyer di rendere navigabile la Marrana per cui l’ingegnere produsse un progetto cui diede il titolo “Sul modo di rendere navigabile il rio della Marrana”, senza peraltro giungere alla sua realizzazione a causa forse della troppa semplicità del progetto.
La Marrana traversa la Valle Marciana dove la coltivazione delle uve produce uno dei migliori vini del territorio, di sapore amabile, fruttato e di colore d’ametista, etichettati con il marchio DOC Frascati.
Al di sopra della Valle Marciana ovvero sul margine del lato ovest della via Anagnina, antica via Latina, vi sono  i poderosi resti del Castello di Borghetto costituiti dal muro perimetrale della fortificazione e da  un nucleo interno, parte del castello vero e proprio e della chiesa.
La località su cui sorge il castello è stata detta Mons Frenello nome riportato più volte ma che certamente è una trascrizione errata di Mons Formello, infatti sotto le strutture del castello transita un cunicolo, probabilmente di un antico acquedotto, da cui il nome di Monte della Forma ovvero della piccola forma.
Il castello certamente fondato dai Conti di Tuscolo è stato un baluardo eretto a difesa del territorio criptense ma soprattutto un punto di transito obbligato della via Latina che lo attraversava, mettendo però i viaggiatori nella condizione di dover pagare il pedaggio.
Con il Cardinale Giuliano della Rovere le strutture del castello vengono ripristinate dove sono crollate o sono state demolite, e rinforzate, creando un avamposto difensivo per la fortificata Abbazia di Santa Maria.
Infatti il Cardinale Giuliano della Rovere dopo aver ottenuto la Commenda dell’Abbazia procede alla costruzione di una fortificazione su progetto, molto probabilmente di Baccio Pontelli, con la collaborazione di Magister Antiquus.
L’Abbazia di Santa Maria poi è meta di pellegrinaggi, che danno origine alle fiere del 25 marzo e dell’8 settembre, dei giorni cioè dedicati alla Vergine Maria in quanto il primo è il giorno dell’annunciazione della futura nascita  del Salvatore e il secondo è il giorno in cui la Madonna vede la luce terrena.
Sul margine del lato nord della Valle Marciana, poi, vi è una torre costruita sui resti di un’antica cisterna per la raccolta delle acque, su cui è stata realizzato, poi, l’edificio di una villa, denominata  “Torretta”, dove durante la guerra del 1915-18, alcuni prigionieri austriaci alloggiano perché ivi trasferiti, a loro richiesta, per la lavorazione dei campi.
E questi prigionieri sono un giorno al centro dell’attenzione, perché uno di loro esterna il desiderio di vedere Roma.
Il proprietario della Torretta, Simone Di Mattia, allora in accordo con le sentinelle, fa vestire al giovane austriaco una divisa di soldato italiano e con il calesse lo conduce seco a vedere l’Urbe.
Sempre dal versante nord della Valle Marciana si raggiunge la catacomba Ad Decimum nei cui corridoi ipogei vi sono tuttora ancora intatte molte sepolture dei cristiani che per primi hanno popolato il territorio circostante.
Nella catacomba vi sono  molte iscrizioni suggestive e commoventi scolpite o graffite sulle pareti di chiusura dei loculi come per esempio quella del Diacono Gennaro:
Il diacono Gennaro ancora vivente fece la tomba per se, per la sua costola (moglie) e per la sua dolcissima figlia Martiria che visse tre anni, sei mesi, cinque giorni. In Pace.
Vi è poi, in un’altra galleria un archeosolio con architrave in marmo sorretto da due colonnine, verosimilmente di reimpiego, sulla cui parete di fondo vi è un affresco con la rappresentazione della Traditio Legis: su di un monte situato nella parte centrale del dipinto vi è il Cristo nimbato con la mano destra sollevata nell’atto di benedire, mentre con la sinistra consegna il rotolo della legge a San Pietro inginocchiato e recante una croce sulla spalla; sul lato opposto San Paolo si erge con la spada in mano. Ai lati vi sono due palme su una delle quali è posata un fenice simbolo della  resurrezione.
Sulla parete sinistra dell’archeosolio, poi,  vi è una figura rappresentante il titolare della tomba in atteggiamento di preghiera tra due figure, probabilmente di santi, indicato con la parola Biato (Viator) con ai lati del capo l’iscrizione: Benemerenti in pace.
Grottaferrata da molti anni è divenuta il luogo preferito per la realizzazione di ville e villette da utilizzare prevalentemente nel periodo estivo per le vacanze ma che da alcuni anni sono  divenute anche la residenza abituale di molti proprietari.
Di Grottaferrata, però, vogliamo ricordare anche l’ambiente agreste dove l’aria balsamica ha la capacità di rinvigorire il fisico e lo spirito.
In Grottaferrata, poi,  prevalgono anzi prevalevano le attività artigiane.
Infatti il ricordo va all’ultimo carrettiere a vino con la fascia nera intorno alla vita che rimetteva il carro con il cavallo nel locale oggi adibito a negozio di antiquariato, all’inizio del Corso, mentre l’ultimo bottaro gestiva il negozio officina dietro il palazzo municipale, decorato con una insegna scolpita a rilievo  troneggiante al disopra dell’ingresso, e raffigurante una botte.
Questo artigiano nel periodo della vendemmia riempiva le strade limitrofe del suono prodotto dai  colpi dei  martelli battuti sui cerchi delle botti.
Sulla via del Corso, poi, un forno allineava le fascine sulla strada per la cottura del pane di cui si spandeva nell’aria la fragranza del suo odore.
Ma non possiamo dimenticare la fabbrica di ceramiche di Squarciarelli, fondata e gestita dai fratelli Tidei, che ha portato i suoi prodotti ad un  alto livello artistico, dovunque, anche per merito dei pittori Vangelli e Venanzi.
Eolo Tidei, ovvero uno dei fratelli, poi, probabilmente non sufficientemente soddisfatto, lascia la fabbrica di ceramiche e in un locale adiacente apre il ristorante “La Tranquillità”, dove accorrono subito numerosi avventori, provenienti dall’Urbe in cerca di un luogo idoneo per cancellare gli affanni della vita quotidiana. E il successo presto arride alla nuova impresa tanto da diventare anche il motivo di una popolare canzone del subito dopoguerra che l’attore Renato Rascel porta al successo.
I cibi che si possono gustare nel ristorante sono della massima semplicità e forse proprio per questo il successo arride all’impresa.
Dal bivio, località così denominata per la presenza dell’incrocio e  derivazione delle linee tramviarie dirette a Frascati, Marino e Roma, inizia la strada che conduce a Frascati sul cui percorso si incontra uno splendido bosco di querce sul cui suolo in primavera è un vero tripudio dei colori bianco e azzurro dovuti alla fioritura degli anemoni selvatici mentre in autunno è il tripudio dei ciclamini che coprono il suolo con una spessa e fitta coltre.
Lungo il tragitto .poi, si incontra il portale monumentale della villa Muti cui è anteposta un’edicola mariana, quindi la strada che decorre tra argentati ulivi fino al culmine della collina, conduce  all’ingresso della villa Grazioli.
Ma per raggiungere Frascati si può anche prendere la salita che porta al ristorante il Fico, dove una sosta può permettere di assaporare i cibi castellani all’ombra di una pergola: fettuccine condite con ragù o funghi porcini, carni alla brage con contorini di verdure di stagione, frutti locali, ovvero fichi, albicocche, pesche, pere e mele, e dolci preparati dal cuoco del ristorante.
E finalmente si raggiunge Frascati, adagiata sui resti della villa di Passieno Crispo,  dove ogni costruzione nelle  zone ipogee conserva un qualche resto di antiche murature.
Frascati è il regno delle ville rinascimentali di cui si vanta e ne va orgogliosa: Sulla piazza Marconi si affaccia la villa Belvedere Aldobrandini regina delle ville tuscolane, con a fianco la villa Lancellotti. Sul colle di Tuscolo, poi, domina la vallata la villa Tuscolana già Rufinella, mentre la villa Rufina – Falconieri mantiene il primato di prima villa del territorio anche se nel secolo XVII l’architetto Borromini  modifica largamente le sue caratteristiche. La villa Sora sulla strada che conduce a Roma, conserva inalterato il salone delle muse e la cappella di San Carlo, insieme alle sale del refettorio mentre tutto il resto viene modificato con l’istituzione della scuola.
Le ville minori, il Casino Pescatore I e II e il Villino Mergè poi, mantengono inalterata la decorazione pittorica, anche se vi sarebbe bisogno di grandi lavori di restauro.
Alla periferia della città ovvero subito dopo il borgo di Vermicino vi è una grandiosa struttura appartenuta al sepolcro molto probabilmente di Lucullo, realizzato con grossi blocchi di pietra giustapposti. Attualmente è divenuto una sontuosa residenza.
Nel sottosuolo del vicino casale vi è inoltre una grandiosa cisterna per la raccolta delle acque che ha lo stesso diametro del mausoleo sepolcrale. La cisterna è divisa in settori da muri divisori aperti da porte con la parte superiore ad arco a sesto completo.
Probabilmente la cisterna in antico veniva alimentata dalla sorgente presente nei pressi attualmente denominata del Pischero per rifornire il grandioso edificio di cui oggi rimangono soltanto monumentali ruderi, denominati Grotte del Seminario o Loco Novo.
Le strade,  vivacizzate da una folla polimorfa e laboriosa, conducono tutte nelle chiese: Il Duomo o San Pietro realizzato su progetto di Ottaviano Nonni detto il Mascherino cui qualche anno dopo l’architetto Girolamo Fontana aggiunge una maestosa facciata con le varie parti realizzate quasi tutte in pietra sperone. Il Gesù opera di architetti della Compagnia di Gesù, in cui la decorazione pittorica è opera del pittore polacco Taddeo Kuntz  e dei gesuiti Andrea Pozzo e Antonio Colli i quali tra l’altro eseguono una finta cupola per il transetto.  Santa Maria in Vivario o San Rocco, in cui un magnifico sarcofago paleocristiano, ritrovato sul territorio di Tuscolo, funge da altare, e dove avviene lo scoprimento prodigioso delle immagini di San Sebastiano e San Rocco, mettendo fine alla epidemia dilagante nelle città del Lazio. Chiese tutte ricche di storia e di arte. Le stesse strade, poi, conducono  nei palazzi aviti (Palazzo Senni, Montani, Campeti, Mergè, Marconi etc), nell’ antica rocca attuale episcopio, ricostruito e decorato con dipinti di pregio per opera del Cardinale Duca di York Vescovo della Diocesi Tuscolana e nelle piazze decorate da  fontane ( Piazza Marconi, Piazza San Pietro, Piazza Mazzini o dei Merli, Piazza San Rocco dove è tuttora presente la più antica fontana della città fatta costruire dal Cardinale d’Estouteville per farvi confluire l’acqua concessa da Papa Sisto V), ma soprattutto nelle osterie, sempre aperte, dove gli avventori non mancano: i pensionati e gli anziani siedono di fronte a un mezzo litro e ricordano i tempi della gioventù e dopo una certa ora arrivano gli artigiani, i manovali e i vignaroli tutti per bere il vino con le ciambelle e con i pepatelli. Chi si ferma fino a tardi, poi,  aggiunge  le coppiette, la porchetta e i zampetti di maiale con il pane casareccio mentre il vino seguita a scorrere allegramente dai litri, mezzi litri, quartini e chierichetti spesso accompagnato da canti prodotti da voci il più spesso rauche e stonate.
Mentre la città in molti aspetti ha assunto una aspetto nuovo, anzi moderno, la campagna non è cambiata, infatti il vecchio casale è rimasto insieme ad un cane ringhioso a guardia della vigna, dove il vignarolo segue tuttora i dettami delle vecchie generazioni, anche se non usa più il somaro per mezzo di locomozione ma una moderna automobile.
Ma Frascati è l’erede di Tuscolo che si raggiunge in breve tramite la nuova via carrozzabile.
Ed ecco la strada antica  che appare tra le sponde erbose dove il piede si posa con trepidazione sulle grandi pietre basaltiche ancora perfettamente connesse, finché appare dopo poche decine di metri all’orizzonte il Monte Cavo, antico Monte Albano, con i campi d’Annibale che degradano nelle forre di Pentima Stalla fino alla Molara dove una piccola cappella custodisce un dipinto su muro della Madonna Imperatrice con il Bambino realizzato molto probabilmente da un monaco negli anni del secolo XVI. Dietro la cappella in una grande caverna vi sono ancora adese alla parete le ruote  appena sbozzate, recanti sulla periferia i segni lasciati dagli scalpelli piantati in cerchio per staccare il blocco di pietra che in una fase successiva doveva essere lavorato per diventare una ruota da macina. In alcuni di questi blocchi vi è una data che non supera il 1700..
Sul pianoro si allineano i resti della città antica costituiti dal teatro, dall’anfiteatro, da una cisterna priva della originaria copertura e da costruzioni diverse mentre le ultime querce danno l’idea di montare la guardia e sui prati i fiori stagionali creano una fantasia policroma meravigliosa: in primavera le margherite, i botton d’oro e le violette annegano nella verdissima erba, mentre in estate i papaveri contrastano violentemente con il giallo delle ginestre e i lunghi steli decorati di delicati fiori gialli del Verbasco o Tasso Barbasso.
Dalla via Gregoriana si raggiunge l’incrocio dove una strada a sinistra conduce a Colonna e un’altra in linea retta a Monte Porzio Catone, il terzo centro del Tuscolano.
Subito dopo l’inizio della via sulla destra appare il grandioso cancello delle ville Borghesiane, oggi al servizio, senza tuttavia esserne l’ingresso, di una lottizzazione di palazzine, ma che secondo le intenzioni del suo ideatore, il Cardinale Scipione Borghese, avrebbe dovuto collegare, mediante una strada rettilinea, le ville Borghesiane con la basilica di San Pietro in Roma.
Sul lato opposto della strada vi è il Bargo Borghese, utilizzato dai proprietari di Mondragone come parco per gli animali domestici e da cacciare, poi, durante il periodo in cui i proprietari sono stati i gesuiti utilizzato come azienda agricola anche con l’impianto di un molino per le olive per la produzione dell’olio. E recentemente con la sistemazione degli antichi e vecchi edifici è stato trasformato in un centro residenziale. Inoltre  le gallerie ipogee parte della costruzione di una villa romana sono state bonificate  e verranno al più presto adibite a percorso archeologico di grande interesse.
La strada quindi prosegue in dolce pendio, finché ad oriente su di un colle tutto ammantato di ulivi appare sulla sommità Monte Porzio Catone con la chiesa di San Gregorio che spicca grandiosa con i due campanili sulle piccole case sottostanti.
Un’irta salita conduce all’ingresso della città costituito dall’antico portale del palazzo Borghese decorato dovunque con la dorata pietra sperone.
Percorrendo le strette strade che attraversano la città si nota che ogni costruzione ha il suo tinello dove nelle botti di castagno maturano i prelibati vini del territorio e dove il proprietario in primavera innalza una frasca a mò d’insegna, per la vendita al minuto della propria produzione.
Per cui ogni tinello diviene un’osteria, dove tutti almeno una volta si fermano sedendo su improvvisati sedili, costituiti da bigonci rovesciati con una tavola messa a traverso, per bere il vino con le serpette e altri dolcetti tipici del luogo.
Sulla zona orientata a nord del paese stupisce il panorama che si estende dal mare Tirreno, a Roma ai colli Tiburtini e Prenestini e nei giorni di tramontana fino al  monte Soratte e più d’appresso sul cimitero il cui sito ha anche il nome di Castelvecchio perché nel medioevo molto probabilmente è stato un luogo fortificato, utilizzando le strutture di epoca romana tuttora presenti nel sottosuolo.
Dopo aver percorso un tratto della nuova strada per il Tuscolo, si raggiunge l’Eremo dei Camaldolesi di Monte Corona, per mezzo di un lungo viale fiancheggiato da una cortina di tigli sui quali svettano giganteschi pini.
I monaci che da alcuni secoli vi abitano, conducono una vita solitaria lontano dal mondo dedicandosi ad attività lavorative diverse, ovvero a tutti quei lavori utili e necessarie per la comunità. Ogni monaco abita una piccola e disadorna cella isolata dalle altre, dove il letto per riposare è costituito da una semplice tavola priva di materasso e di lenzuola. A fianco vi è una cappella dove il monaco inginocchiato recita le orazioni. Tutte le celle tuttavia hanno un piccolo appezzamento di terreno che  può essere coltivato con le verdure o con i  fiori. L’alimentazione del monaco è strettamente vegetariana, infatti l’uso della carne è consentito soltanto in alcune festività dell’anno.
Tutti i monaci si riuniscono durante alcune ore del giorno e della notte per pregare nella chiesa costruita con molta semplicità ma anche ricca di opere pittoriche degne di attenzione. Nel comprensorio dell’eremo, inoltre, vi sono vistosi resti di antiche costruzioni verosimilmente appartenute alla Gens Furia di cui nella parte orientale del territorio è stata ritrovata una grotta quasi certamente mausoleo sepolcrale della famiglia.
L’eremo inoltre ha un rifornimento idrico derivato da un antico acquedotto.
L’ingresso nell’eremo è assolutamente proibito alle donne in quanto fin dalla fondazione avvenuta nel 1605, viene istituita la clausura papale. Tuttavia, una donna della famiglia Borghese, è  sepolta nella cappella del Capitolo, ma questa apparteneva alla famiglia che ha molto contribuito alla istituzione e alla crescita dell’eremo e inoltre aveva sposato quel Borghese che si è prodigato molto in favore degli eremiti.
Nell’eremo vi è anche un caseggiato, denominato infermeria , fatto costruire dal Cardinale Pietro Aldobrandini, per le necessità dei monaci in caso di malattia.
Un altro caseggiato che si erge sul piazzale d’ingresso viene utilizzato per dare ospitalità a chi desidera isolarsi dal mondo per alcuni giorni.
Nel secolo XVII il Cardinale Passionei protettore dell’ordine dei camaldolesi, decide di trasferire la sua residenza per alcuni periodi dell’anno nell’eremo di Tuscolo, creandovi un alloggio degno della sua persona. Infatti trasforma completamente alcune celle in una villetta, chiamando per la decorazione illustri pittori del tempo. Naturalmente in questo luogo, poi, il cardinale riceve visite continue, irritando non poco i monaci abituati alla pace e al silenzio del loro ritiro.
Nel periodo in cui ,poi , si svolgono i fatti d’arme della guerra del 1744 combattuta tra gli eserciti degli austriaci e ispano-napoletani, per la cosiddetta successione al trono d’Austria, il cardinale riceve a giorni alterni gli ufficiali dell’una e dell’altra armata. E di  queste visite è rimasta una documentazione, costituita dai disegni caricaturali eseguiti dal pittore Pier Leone Ghezzi che, essendo amico del cardinale, in quei giorni si trovava nella villetta dell’eremo suo ospite.
Dopo essere usciti dall’eremo è bene muovere i passi verso le campagne  dove sono ancora in situ alcuni casali, veri capisaldi di tenute coltivate prevalentemente a vigneto.
Alcuni di questi edifici portano il peso degli anni con noncuranza e molti serbano nelle zone ipogeee  antiche strutture, prevalentemente a carattere idraulico, di ville di epoca romana. Negli stessi spazi, poi, i moderni proprietari vi hanno creato meravigliose cantine per conservarvi il prelibato liquore  prodotto dai vigneti circostanti.
Questi casali, poi, hanno anche un nome che gli deriva nella maggior parte dei casi dai loro fondatori e tutti hanno comprese nelle strutture i resti di antiche costruzioni o grotte con particolari caratteristiche: Casale Bottai, la cui grotta probabilmente è stata scavata per prelevare la pozzolana e in un’epoca successiva in fondo alla galleria principale un prelato vi ha ricavata un’abside con altare, tabernacolo e nicchie laterali in uno stile che richiama il paleocristiano ma che in realtà il lavoro è stato eseguito circa il XVI secolo. Casale Montani realizzato su due cisterne per la raccolta dell’acqua, Casale Filonardi ugualmente costruito sui resti di alcune cisterne per la raccolta delle acque, Casale Sonnino che ha una grotta vinaria molto grande, costituita in origine, molto probabilmente da una cisterna per la raccolta delle acque e nel giardino presenta alcune maioliche recanti tutte frasi elogiative del vino
Non ti mettere in cammino se la bocca non sa di vino; 
Nettuno del mare Dio divino lodava l’acqua beveva il vino

Casale di Pilozzo nel cui territorio è presente una piscina di forma circolare sostenuta da una muratura a nicchie absidate. Casale Celli nel cui comprensorio sono presenti i resti delle costruzioni di un’antica villa comprendenti anche una cisterna per la raccolta delle acque. Casale di Fontana Candida dove tuttora sono visibili i simboli dell’appartenenza alla famiglia Borghese. Casale di Monte Melone nel cui territorio di appartenenza sono presenti una antica cisterna per la raccolta delle acque e un tratto di un antico criptoportico. Casale o Vigna Savina il cui ingresso è decorato con una artistica cancellata prodotta dai prigionieri austriaci della guerra 1915-18 che, a loro richiesta operarono nel casale con lavori nel vigneto.
Nel territorio di spettanza al comune di Monte Porzio Catone inoltre vi una torre denominata Jacova.
E’ una costruzione del secolo XIII che domina tutto il paesaggio con la sua mole, adibita verosimilmente a fortificazione in comunicazione con i castelli di Colonna e Monte Porzio da un lato e la torre di Pantano Borghese dall’altro.

Luigi Devoti è nato a Roma nel 1931. Dopo gli studi classici frequenta la Scuola medica dell’Università di Roma “La Sapienza”, conseguendo la laurea in Medicina e Chirurgia e la Specializzazione in Clinica Chirugica.
Esercita per circa 36 anni la professione di chirurgo ospedaliero fino al grado di Primario Chirurgo negli ospedali di Roma, Civitavecchia, Subiaco, Frascati. Lascia il servizio attivo di chirurgo nel 1992 per dimissioni volontarie. Da circa 36 anni risiede nella periferia agreste di Montecompatri.
L’amore che da sempre  nutre per i Castelli Romani lo ha spinto numerose volte a percorrere i luoghi più reconditi del territorio per ammirare le bellezze naturali, i resti archeologici, le architetture e  le opere d’arte presenti nelle chiese, nei palazzi e nelle ville.
Collabora alla Rivista “Castelli Romani”, al “Lunario Romano”, alla “Strenna dei Romanisti”, alla “Serpe”.
Ha pubblicato circa 40 volumi con trattazione su Roma e il territorio dei Castelli Romani.
E’ socio ordinario di numerose associazioni culturali del Lazio.

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