La via Appia di Bill Travis

di Brian Paul Clamp

C’è un mistero e una magia che legano la storia alla memoria, e la memoria all’arte. Occupando uno spazio tra passato e presente, le stupefacenti visioni della via Appia di Bill Travis ci invitano ad osservare questo aldilà dove s’incontrano reale ed immaginario. Si può concepire la storia come una agglomerazione di eventi e storie, monumenti e rovine che, similmente ad un cumulo di migliaia di pesanti blocchi di pietra, messi insieme formano un tratto di strada antica. Fondamentalmente la storia è un tentativo di organizzare ricordi, tuttavia, come sappiamo, la storia può anche costruire dei ricordi. La fotografia ha una posizione privilegiata in questa dinamica dato che registra dei momenti e, allo stesso tempo, li interpreta e li modella. La Via Appia offre un campo di ricerca particolarmente vasto poiché, più che carcasse di roccia e distese di calcestruzzo, è una raccolta di avvenimenti isolati e di intere vite. Di nuovo, come una fotografia, la strada racchiude pezzi di informazione, orme del passato, che si possono leggere pezzo dopo pezzo, come passi lungo un sentiero. Questa stratificazione, questa ricchezza è, di fatto, l’elemento che ha reso la Via Appia un soggetto artistico ricorrente nei secoli. L’approccio dell’artista Bill Travis è profondamente ambivalente, dimostrando al contempo una affinità e una netta distanza rispetto ai suoi predecessori. Vengono in mente i pittori del XVIII secolo che volevano soddisfare le esigenze dei viaggiatori dei “Grand Tour”, inclusi Canaletto e Giovanni Battista Piranesi, come pure degli artisti del XIX secolo e le loro visioni romantiche del paesaggio mediterraneo, come Théodore Géricault e Camille Corot. In senso lato, le opere di Travis seguono questa tradizione, ma Travis, più che portare con sé matite e blocco da disegno, porta una macchina fotografica mentre visita la Via Appia.
La sua tecnica originale di trasferimento di stampe di fotografie digitali su tavole preparate, sulle quali poi applica tinte e colori di vario tipo, è interessante perché fonde la tecnologia più avanzata con la tradizione più antica. Mentre storicamente architetti e archeologi hanno fatto studi sistematici degli antichi monumenti disposti lungo la Via Appia, i disegni e i dipinti vengono solitamente ritenuti più soggettivi delle fotografie. Tuttavia Travis, scegliendo un formato digitale (più adatto alla manipolazione rispetto alla pellicola tradizionale), usa la macchina fotografica per iniziare la creazione di “paesaggi interiori”, che si oppongono alle rappresentazioni dirette.Travis non si interessa alla semplice documentazione e per questo il suo lavoro è da collocare in un contesto diverso da quello in cui si muove un fotoreporter alla ricerca di obiettività. Nonostante ciò, la scelta di iniziare il suo processo creativo con una fotografia lo porta ad alterare anche l’interpretazione dei suoi paesaggi dipinti. Dal punto di vista storico, il termine di paragone più diretto rispetto alla posizione di Travis è, forse, l’approccio dei Foto-Secessionisti del primo Novecento, che si sforzarono di dipingere le loro stampe fotografiche, ma per scopi assai diversi. Questi artisti, che lottavano per legittimare la fotografia come mezzo artistico al fianco della pittura e della scultura, usarono proprio queste ultime forme artistiche, auspicando un innalzamento dell’arte fotografica rispetto al semplice ruolo di registrazione visiva. L’intento di Travis nel mescolare tecniche è invece un fatto di espressione artistica personale. Mentre molti artisti contemporanei confondono deliberatamente le tecniche nello spirito di ciò che è stato chiamato “la condizione Postmediale”, l’intento di Travis sembra meno calcolato e più interessato a stabilire un’atmosfera o uno stato d’animo. La scelta di Travis di miscelare le tecnologie avanzate con gli approcci artistici più classici risulta particolarmente adatta, visto che il suo soggetto pittorico è la vita contemporanea lungo una delle più antiche strade del mondo. 
La pittura in qualche modo rende più morbide le riprese fotografiche, trasportando le scene in un regno senza tempo. Si resta sospesi tra passato e presente dove l’opera va interpretata a metà strada tra una fotografia e un quadro. In realtà, Travis scrive di essere alla ricerca di un’Appia situata fuori dal tempo. A volte spuntano elementi neoclassici nei lavori di Travis (la prima immagine Entering Lazio ne è un esempio) ma, di solito, la sua visione è più neo-romantica poiché l’artista impregna le scene con un’emozione e una visione personale. E mentre raramente si adopera il romanticismo per descrivere l’elemento fotografico (a parte le discussioni del Pittorialismo della Foto-Secessione come descritto sopra), le immagini di Travis echeggiano anche il lavoro di altri fotografi contemporanei, come Sally Mann. Travis osserva che il paesaggio è un ricordo, e io sospetto che Mann, che ricerca la storia dei posti da fotografare prima di imprimerli sulla pellicola, sarebbe d’accordo. Entrambi gli artisti creano paesaggi profondamente intrisi di emozione e segnati in modo evidente dalla mano del loro artefice. Il lavoro di Travis fino a questo momento si incentrava interamente sullo studio della figura umana, ma ora sembra che l’artista abbia trovato il suo soggetto ideale. Infatti, nello stesso modo in cui la Via Appia incarna moderno e antico, le raffigurazioni di Travis sono ricche di significative e piacevoli dualità.

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