In tram ai Castelli, cent’anni fa

di Stefano Panella

Quella dei Castelli Romani fu una capillare rete tranviaria, il cui ruolo divenne essenziale nelle comunicazioni fra Roma e i diversi centri serviti, come pure nell’ambito del suburbio romano delimitato fra le vie Appia e Tuscolana. A scopo sperimentale, il 9 novembre 1903 venne attivata fuori porta S. Giovanni la prima tratta suburbana, lungo il breve percorso compreso fra il piazzale Appio e il vicolo delle cave (poi via delle cave). Nel 1906 furono quindi istituiti i collegamenti extraurbani per Grottaferrata-Frascati, Grottaferrata-Marino, Marino-Albano-Genzano e Valle Violata-Valle Oscura con annessa funicolare al servizio dell’abitato di Rocca di Papa. A promuovere la realizzazione di questa articolata rete fu la S.T.F.E.R, Società delle Tramvie e Ferrovie Elettriche di Roma, artefice del sistema delle linee private ferrotranviarie e di autobus dell’area laziale, che nel 1941 avrebbe mutato la propria ragione sociale in S.T.E.F.E.R, progenitrice delle attuali A.CO.TRA.L e Met.Ro. L’attuazione del progetto, delineato fin dal 1899, anno di costituzione della società, venne ritardata sia per le lungaggini burocratiche relative all’ottenimento delle concessioni richieste, sia per le difficoltà riscontrate nella fornitura di energia elettrica, per il cui superamento la S.T.F.E.R dovette impiantare a proprie spese un elettrodotto di collegamento fra Tivoli e Ciampino. Con profusione d’impegno ebbe quindi inizio la costruzione della rete tranviaria e, come d’uso in quel tempo, il binario trovò collocazione a lato della sede stradale carrozzabile, salvo distaccarsene per esigenze contingenti o quando la pendenza della via risultasse eccessiva, oltre il 5-6%.
Il capolinea romano della rete fu ubicato vicino alla stazione Termini, nell’odierna via Giovanni Amendola ma, almeno fino al 1916, alcuni convogli provenienti da Frascati e Rocca di Papa, giunti a porta S. Giovanni, deviavano sui binari delle rete cittadina, gestita dalla S.R.T.O (Società Romana Tramways Omnibus), per terminare la corsa nei pressi di piazza Venezia. Nel 1912 seguì l’inaugurazione delle linea  Roma-Albano che procedeva “diretta” lungo la via Appia (la linea inaugurata nel 1906 lasciava invece tale via per immettersi nel vicolo cave e seguire quindi la Tuscolana e l’Anagnina), tanto che il successivo anno anche Velletri poté salutare con entusiasmo l’arrivo dei convogli. Servita infine Lanuvio con un’apposita diramazione (1916), la rete dei Castelli raggiunse la massima estensione di oltre 72 km, essendo dotata di 56 fermate e 3 depositi per il ricovero del materiale rotabile. In tal modo l’isolamento di antica data dei Colli Albani poté dirsi superato, grazie ai frequenti e agevolati  collegamenti tranviari da o verso la capitale. Al riguardo si pensi che nel 1913, lungo le direttrici Tuscolana-Anagnina e Appia, ad ogni ora della giornata transitavano convogli  che in un’ora o un’ora e un quarto  raggiungevano la maggior parte dei centri situati sui Colli Albani, mentre  impiegavano mezz’ora in più per arrivare a Velletri, la località maggiormente distante da Roma. A completamento del servizio vi erano altre locali corse predisposte in coincidenza sul percorso “intercomunale” Frascati-Grottaferrata-Marino-Castel Gandolfo-Albano-Ariccia-Genzano.
A bordo del tram, alle trine e ai cuscini di velluto dei comodi salottini di prima classe, i viaggiatori prediligevano le spartane panche in legno della terza classe, di cui era dotato anche il tram comunemente detto “ad imperiale” o “imperiale” (poiché sul tetto – appunto l’imperiale – trovava collocazione un secondo piano dov’era disposta, in posizione centrale, un’unica lunga panca). Da lassù certamente fascinoso si presentava il mutevole panorama della Campagna Romana, osservato mentre il tram sfiorava gli antichi acquedotti procedendo in sede propria, a 30-40 km l’ora,  prima di affrontare le rampe di villa Senni-Borghetto o la lunga salita dalle Frattocchie ad Albano.
L’agevolezza del servizio offerto dalla S.T.F.E.R indusse romani e turisti stranieri a frequentare assiduamente i Colli Albani, tanto che nei primi due decenni del secolo molte famiglie abbienti romane decisero di edificarvi nuove residenze di villeggiatura. Ma proprio a motivo di questo successo non mancarono problemi all’esercizio tranviario nei primi tempi e nel corso della Grande Guerra. Perciò il municipio di Albano Laziale costituì un Comitato permanente composto dai rappresentanti della provincia e dei comuni interessati, compreso quello di Roma, per concretare ed ottenere i miglioramenti desiderati dal pubblico nel servizio tranviario, fino a proporne un “progetto di riscatto ed esercizio diretto consorziale”, studiato da un apposito comitato tecnico nell’anno 1917. Al contrario, la S.T.F.E.R nello stesso tempo ideò un piano di espansione della rete, da attuarsi mediante l’assorbimento delle Ferrovie Secondarie Romane (si tratta delle linee Roma-Marino-Albano e Albano-Nettuno, la cui gestione sarebbe invece passata alle Ferrovie dello Stato).  Il 16 giugno 1917, durante una seduta del Consiglio comunale di Roma, viene denunciata la consueta ressa degli utenti al capolinea e perciò è invitato il competente assessore a richiedere alla S.T.F.E.R “che siano accodati i rimorchi a tutte le vetture ad imperiale”. Accade infatti che utenti distratti salgano a bordo dei tram  destinati in località diverse da quelle loro prefisse, ingannati in ciò – si sostiene – dalle equivoche indicazioni delle tabelle d’itinerario, sistemate sulla fiancata del mezzo, dunque non sempre ben visibili, come pure dall’organizzazione del servizio che prevede partenze quasi simultanee dei convogli diretti lungo diversi itinerari. Comunque i miglioramenti divennero tangibili a partire dal 1921, quando entrarono in servizio le nuove vetture rimorchiate, e presto il consolidato uso della gita ai Castelli, trascorsa a bordo dei tram affollati, magari in compagnia di personaggi avvinazzati, entrò nel “mito” assieme alla Sagra dell’ uva di Marino  e alla celebre canzone lanciata nel 1926 da Ettore Petrolini: “Una gita a li Castelli (Nannì)”. Divenute assai popolari queste abitudini, si affermarono nuove tendenze nel modo di frequentare l’Agro e le sue antiche osterie dalla preclara fama. Al riguardo, Pietro Poncini accenna alle sorti seguite da un vero “caposaldo” della convivialità: l’Osteria del Curato, situata a mezza strada tra Roma e Frascati, dunque tappa obbligata dei viandanti per secoli. Intorno al 1940, scrive l’autore, “a sostegno di questa logica, dalle “imperiali” delle tranvie che corrono senza fermarsi rasentando la famosa osteria, occhi più o meno lucidi (non di pianto) la vedono nostalgicamente dileguarsi in mezzo al verde, mentre le staccionate vanno all’impazzata e galoppano perfino le schiere degli acquedotti in fondo alla scena: nel secolo della velocità, er Curato è sorpassato”. Mutate abitudini, dunque, nell’Agro bonificato e ora attraversato con disinvoltura per salire in collina alla ricerca della frescura, del buon vino, o magari da semplici pendolari. Peraltro, ad onore del vero,  trascorsi più di sessant’anni da quelle affermazioni, er Curato è ancora lì, al suo posto, mentre non possiamo affermare lo stesso per il “tranvetto” o per molte antiche osterie dei Castelli romani.
Gli anni ’30 vedono un’ulteriore intensificazione dell’offerta con l’introduzione di nuovi capienti tram ed è raggiunta la massima efficienza nel servizio. Nel contempo la S.T.F.E.R appronta dei progetti allo scopo di trasformare la tranvia in una più veloce ferrovia, ma è costretta prima a rimandarne la realizzazione per rinunciarvi poi del tutto.
In quegli anni i vecchi “imperiali”, in origine rivestiti con doghe di legno lucidato, furono trasformati a cassa metallica e rinnovati nell’aspetto con una livrea bianco-blue (allora in uso per i convogli della Roma Nord), che nei decenni a venire sarebbe divenuta l’emblema della S.T.E.F.E.R e dei trasporti pubblici laziali. Le note devastazioni della guerra non risparmiarono la nostra tranvia, la cui ricostruzione fu prontamente eseguita, ma negli anni ’50, col progressivo sviluppo della motorizzazione di massa, emerse chiaramente il pericolo rappresentato dalla coesistenza di quel tram con i mezzi privati, entrambi posti in marcia lungo la medesima sede stradale. Quindi dopo una serie di incidenti – protagonisti il tram e l’indisciplina di molti automobilisti – piuttosto che contrastare il declino della tranvia si preferì ridurne le tratte in esercizio sostituendo i convogli con i pullman una prima volta nel 1954 e più drasticamente nel 1962. Infine, all’alba nel 1965, i anche “trenini” bianco-azzurri, rimasti in esercizio fra Genzano e Roma, uscirono definitivamente di scena per entrare nel grande “cassetto” della memoria collettiva romana e laziale. Della vasta rete costruita all’inizio del secolo, rimasero quindi in funzione le tratte urbane Termini-Capannelle e Termini-Cinecittà. La prima venne poi chiusa al traffico viaggiatori nel 1978, la seconda, poiché ricalcava il percorso della metropolitana in costruzione, cessò il servizio contestualmente all’apertura della nuova linea, nel febbraio 1980. Questa decisione non fu lungimirante, perché quel tram marciava in sede propria, era efficiente, e lo sarebbe ancora oggi,  se fosse stato mantenuto nella funzione di supporto alla linea “A” della metropolitana, il cui movimento viaggiatori è frattanto raddoppiato. Questa linea ha raccolto in qualche modo l’eredità della tranvia, simbolicamente rappresentata da un’antica elettromotrice, già in servizio sulla rete dei Castelli, ch’è oggi esposta al capolinea dell’Anagnina, in attesa di un accorto restauro. Qualche altro rotabile storico è visibile nel parco-museo ferrotranviario di Met.Ro, in allestimento presso la stazione di porta S. Paolo della ferrovia Roma-Ostia, mentre alcuni tram articolati, già in servizio sui collegamenti urbani della S.T.E.F.E.R, li ritroviamo ancora in efficienza sui binari romani gestiti dall’A.T.A.C.

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